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DI OTTAVIO FALCONIERI | 17 |
essere la muraglia scrostata, o per altro, se ne rintracciassero i vestigj a giudizio di persone intendenti in questa materia, considerandogli a parte a porte, e seguitando quanto più si è potuto li contorni dell’antico.
Di questa pittura lasciò scritto Giulio Mancini Medico famoso del Pontefice Urbano VIII. in un suo Trattato delle pitture di Roma non ancora stampato, ch’elle possano esser opra di alcuno de’ Fabii, o di Pacuvio poeta, il quale, come riferisce Plinio, [Lib. 35. cap. 10.] dipinse il tempio d'Ercole nel Foro Boario; presupponendo forse, che Cajo Cestio fosse stato in tempi più antichi di quelli, ne’ quali egli veramente visse; cioè almeno più d'un secolo dopo Pacuvio, il che apparisce manifestamente dall’iscrizione ch’è nelle basi sopramenzionate, come vedremo; ciò ch’egli certamente non avrebbe affermato, se avesse avvertito, che gli Epuloni al tempo di Pacuvio erano tre solamente, e non sette come a quello di Cestio; al qual numero non potere essere stati accresciuti se non da Silla [lib. 2 de Rep. Rom] dimostra il Panvinio con argomenti assai probabili. Ma quando si volesse torre ad indovinare per via di conghietture cosi fatte, potrebbero piuttosto attribuirsi queste pitture a quell'Aurelio famoso dipintore, il quale fiorì in Roma poco innanzi [Lib. 35. cap. 10.] Augusto, e fa biasimato dall’istesso Plinio per aver corrotta l'arte dipignendo sotto l’imagine di Dee le femmine, dall’amore delle quali di tempo in tempo era preso.
Il medesimo Mancini le chiama del secol rozzo o puerizia della pittura Romana, il che non pare a me, riconoscendosi in esse, così guaste com’elle sono, e particolarmente nelle quattro figure degli spartimenti, una certa grazia, e leggiadria, che oltre al buon disegno mostrano, che sono opera di non volgare artefice, chiunque egli si sia.
Venendo ora alla dichiarazione di ciò, che io mi persuado ch’elle rappresentino, dico ch’essendo stato Cajo Cestio nel numero di coloro, i quali chiamavansi Settemviri degli Epuloni, è probabile, che nel sepolcro di lui si facessero dipignere da chi ne aveva avuta la cura quelle cose, nelle quali si potesse meglio conservar la memoria della dignità sacra, ch’egli
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