Pagina:Roma Antica 4.djvu/162

38 DELLE VIE DEGLI ANTICHI

bro: Sunt enim aliæ molles, uti sunt circa urbem, Rubræ, Pallienses, Fidenates, Albanæ: aliæ temperatæ, uti Tyburtinæ, Amiterninæ, Soractinæ, et quæ sunt his generibus: nonnulla duræ, uti siliceæ. Con quest’ultimo nome gli antichi indicavano le cave delle pietre che per la loro durezza si spezzavano colla mazza di ferro, e che mandavano fuoco. Silex dice Isidoro al cap. III. del libro XVI. p. 1209, est lapis durus eo quod exiliat ignis ab eo dictus. Quindi abbiamo veduto, che Stazio nel luogo più volte citato per mostrare questa operazione fa uso della espressione:

Hi ferro scopulos, trabesque levant.


Saxum poi e lapis appellavano le pietre che si segavano; da ciò derivano le espressioni continue negli antichi scrittori, e specialmente in Livio, Silice sternere, e saxo quadrato sternere colle quali distinguonsi le vie lastricate di poligoni irregolari di una pietra durissima da spezzarsi colla mazza, da quelle listricate di pietre meno dure come il travertino, i peperini etc. e segate: questa distinzione si osserva anche ora negli avanzi rimastici; il Foro Traiano era lastricato di rettangoli di travertino; di questo stesso genere è stata trovata una parte del pavimento del Foro Romano sotto la colonna di Foca; mentre di là dal Comizio la via, che costeggiava il Comizio stesso era di poligoni di selce; e di poligoni di selce è pure il pavimento del Clivo Capitolino scoperto da S. E. il Sig. Conte di Funchal Ambasciatore Straordinario di S.M.F. presso la S. Sede. Non è ben sicuro però se tutto il Foro Romano fosse lastricato di travertini, anzi pare di nò, poichè ad occidente della colonna di Foca di là dal pavimento di travertini si sono trovati gli indizj di un pavimento in poligoni di selce. Le vie così lastricate, o a poligoni, o a rettangoli, aveano il nome di viæ stratæ dal quale viene la moderna denominazione di Strada; e ciò facevasi per distinguerle dalle vie chiamate Terranæ, e Glareatæ dall’essere o di terreno solido, o coperte di ghiaja. Ciò si deduce da Ulpiano, il quale dice (Dig. lib. XLIII. Tit. De via publ. et itin. publ. refic. l. 1. §. 2.) Si quis in specie refictionis deteriorem inani facit, impune vim patietur; propter quod neque latiorem, neque longiorem, neque altiorem, neque humiliorem viam sub nomine refictionis is qui interdicit potest facere,