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la zecca di bologna 83

Per ottemperare al motu proprio pontificio i quaranta consiglieri dello Stato di libertà di Bologna il 28 giugno 1520 ordinavano che si fabbricassero i nuovi coni e l’incarico fu dato ad Antonio Macchiavelli che ne ricevette in compenso 25 ducati1: ma la coniazione non ebbe luogo: e non ci è noto chi allora tenesse in appalto l’officina. Il 3 settembre 1523, (l’anno in cui saliva al soglio pontificio Clemente VII di casa de’ Medici, dopo il breve periodo di Adriano VI) la zecca era ceduta ad Antonio Maria Campeggi per dieci anni mettendo per la prima volta un termine così lungo alla locazione, fors’anche per adescare all’importante ufficio che diveniva sempre più lucroso2. Contemporaneamente il numero dei saggiatori fu portato da due a tre e quella volta furono Pietro del Gambaro (o in sua vece suo figlio Bartolomeo), Lodovico Baroni e Oriente Canonici, tutti orefici3.

Di tutte le monete battute allora riportiamo le descrizioni in appendice: qui avvertiamo solamente che a caratteristica principale delle loro monete i Bolognesi seguitarono a porre il motto Bononia docet, che in quel secolo di splendore e di umanesimo era il più adatto a ricordare anche alle città lontane la loro gloria più fulgida, lo Studio.

È inutile aggiungere che non eran cessate, dopo queste coniazioni, le invasioni sempre crescenti di monete basse di tutti i paesi, di svariatissimi valori e le relative gride che le une bandivano, le altre tolleravano, alle altre fissavano il valore. Vi eran monete che fluttuavano in tutti i mercati d’Italia, cacciate

  1. Partiti, 16, c. 21, v.° - Mandati, 25, c. 276, r.
  2. Partiti, 16, c. 115, v.°
  3. id. · 16, e. 173, v.°