Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
208 | francesco malaguzzi |
dall’altro. Quanto ai particolari delle due monete maggiori si sarebbe rimandata ad altra volta la decisione1. Ma realmente di quel progetto non se ne fece nulla.
Della diligenza e della premura che si poneva da parte degli Assunti di Zecca a tutto ciò che riguardava la bellezza e la varietà dei conii, ci assicura anche un inventario in un atto di consegna della stanza de’ cunii al maestro incisore Tommaso Bajard del 4 gennaio 16982. Vi si legge che la stanza era piena di gessi, modelli, bassorilievi, figure «panneggiate » (che ci rivelano lo studio dell’arte classica in Bologna) che servivano di esemplari per fare nuovi ponzoni. Che in un’epoca come quella, in cui il barrocco e il convenzionalismo in tutta Italia toccavano il colmo, a Bologna si pensasse a provvedere di modelli e di calchi lo studio dell’incisore della zecca perchè non si affidasse alla sua fantasia, non deve far meraviglia. Era ancora il buon germe lasciato dalla scuola dei Caracci che dava i suoi frutti e, con un ultimo sforzo, di cui invano si cercherebbe un riscontro in altre città d’Italia, non esclusa Roma, si tentava porre argine alla pazza moda del tempo.
E le monete bolognesi del seicento mostrano anch’esse, nella grandiosità corretta delle belle figure, siano esse di Santi protettori o di Felsine armate ricordanti le classiche Minerve, lo studio non trascurato ancora del vero, attraverso le fantastiche ampollosità delle accademie imperanti.