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la zecca di bologna | 483 |
Infatti non si trova quasi più cenno di tale inconveniente nei documenti bolognesi posteriori al 1490. E ciò fu certamente di gran sollievo al governo e ai privati, fino allora afflitti da quella piaga, del resto comune a tutti gli stati d’Italia.
E prima di abbandonare per sempre questo argomento diamo una scorsa alle notizie più salienti che vi si riferiscono. I bandi contro i falsificatori o tosatori di monete furon sempre numerosissimi nel Medio Evo. Ma a Bologna il male fu più frequente o almeno più tollerato nel quattrocento: i provvedimenti per estirparlo restarono lettera morta finche nel 1472 i Sedici Riformatori decretarono il bando per quei malfattori, stabilendo inoltre che non si potesse far loro grazia se non si ottenessero per ciò in Consiglio almeno 11 voti bianchi sopra 161. L’anno dopo si riformavano ancora le provvigioni dirette allo stesso scopo, tenendo sempre fermo il bando come pena principale. Ma i falsificatori di monete trovavano proseliti in tutte le classi sociali: artisti, commercianti, popolani, operai addetti all’officina. Non rifuggì dal ricorrere a questo mezzo ignominioso di lucro lo stesso Aristotile Fieravante, il celebre ingegnere ricercato da governi e da principi: nel Giugno del 1473, mentre era al servizio del papa, a Roma, fu arrestato, dietro denuncia di falsificazioni commesse tempo prima, e i Riformatori bolognesi stabilivano all’unanimità di privarlo dell’ufficio di ingegnere del Comune e del relativo stipendio2. Si pubblicarono nuove pene di bando promettendo grossi premi in denaro ai denunciatori e a chi consegnasse alla giustizia i falsari3. I quali non si diedero per vinti e molti andarono altrove a fab-