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474 | francesco malaguzzi |
E qui diamo luogo a un’osservazione che vien naturale dall’esame dei documenti del tempo. In mezzo a tante disposizioni sulle battiture delle monete e sul loro corso non troviamo nessun accenno a quella giurisdizione che la Chiesa si era riservata su tutti i rami della pubblica amministrazione, compresa l’officina monetaria, ramo importantissimo e fonte di lucro pei governi d’allora: giuridizione che Giovanni Bentivoglio stesso aveva riconosciuto al principio della sua signoria. E la ragione va trovata nella storia interna della città stessa e nel carattere della signoria che il Bentivoglio, uomo astuto come ce lo mostrano i documenti, aveva in suo pugno. Una tal signoria, potente più che non sembri, era basata sopra un partito estesissimo che riconosceva di fatto, mai di nome, nel suo capo un vero principe: la politica di questi consisteva nel conservare e rispettare in apparenza tutte quelle forme esterne di libertà cittadina che poche provincie avevano allora: il gonfaloniere di giustizia, i sedici Riformatori, divenuti in seguito ventuno, il formulario di libertà, ecc. Egli non voleva essere che prior tra i magistrati, ma in realtà egli era tutto e quelli non erano che sue creature. Da tale indeterminatezza dei confini delle reciproche guarentigie derivò la forza di Giovanni II, che prima che l’invasione di Carlo Vili gli facesse perdere il solito sangue freddo e la chiaroveggenza, governò sapientemente e seppe entrare in tutti i negozi importanti della penisola. Peccato che la perdita dell’archivio bentivolesco costringa gli studiosi a ricercare altrove la traccia di quel grande uomo di stato e mecenate, sicchè la sua figura non può sortirne così nitidamente scolpita come si vorrebbe!
Il potere della Curia romana su Bologna in quel tempo era quasi nullo: il legato non influiva per niente sulla pubblica amministrazione. È quindi natu-