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la zecca di bologna | 469 |
ciali e dai mercanti forestieri che apportavano il loro oro alle zecche per cambiarlo in moneta. Un foglio aggiunto a quello da cui riassumiamo i capitoli accettati dagli orefici contiene alcune altre clausole d’indole generale, relative al maestro dei conii, che sarebbe stato homo sufficiente e pratico cum bone sigurtade, agli assaggiatori, alla decisione da lasciarsi al rettore dell’arte degli orefici in casi di controversie sulle coniazioni, ecc.1. Quanto al compenso fu poi stabilito che i locatari avrebbero ricevuto soldi 22 per ogni libbra di moneta d’oro coniata, soldi 11 per ogni libbra di moneta d’argento e di denari piccoli.
Il Canonici, orefice bolognese della cappella di S. Tomaso del Mercato, fu artista certamente di valore perchè servì più volte il Comune e i privati in oggetti d’arte. Pochi anni dopo aver assunta la zecca, egli era scelto dagli Anziani per fabbricare un bronzo e un bacile d’argento da presentarsi a Giovanni della Rovere2. Ma è noto che la tecnica dell’incidere i ponzoni per fabbricar monete richiedeva una pratica diversa da quella dell’orefice, fosse anche medaglista: questi fondeva i suoi prodotti, il magister cuneorum incideva varii ponzoni dai quali ricavava l’intero conio e il lavoro era altrettanto geloso che difficile3. Ciò spiega perchè anche questa volta il Comune affidò, con contratto 4 novembre 1472 di cui rimane l’originale, la parte tecnica nell’officina monetaria ad Antonio di Battista Magnani che il documento chiama «virum habilem, aptum, idoneum, praticum, et expertum » nella coniazione