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gni di esse, ma tuttavia siamo ancora lontani dal possedere una completa illustrazione dei prodotti della sua zecca, per cui torna opportunissima la istanza dell’illustre cav. Camillo Brambilla, il quale, dichiarando con soda dottrina tre sue monete, scriveva: " Resta anche per questa serie il desiderio che qualche erudito comasco si faccia a riunire gli impronti e ad illustrarli, aggiungendovi quanto alle ricerche di altri fosse per avventura sfuggito. „

Pel documento riferito dal Rovelli resta comprovato Federico I avere battuto moneta a Como; ottime ragioni, alle quali potrebbe aggiungere qualche altra, adduce il nominato cavaliere per assegnare allo stesso oltrechè gli oboli caucei improntati dal nome imperiale anche tutti i grossi ad effigie; ma forsechè non tutti si adatteranno senza contrasto a tale opinione, e sia pure, che l’attrito d’opposti e ragionati pareri giova grandemente a dare risalto alle verità scientifiche1.


  1. Anche l’esimio conservatore del gabinetto di Torino, dichiarando testè un grosso di questa città, battuto dal Comune a nome di Lodovico il Bavaro, sembra esprimere tale opinione.
       Gli autori che ragionarono sui grossi comaschi ad effigie non stimarono opportuno di notare alcune essenziali differenze che in essi si osservano. Sono que’ grossi di due specie ben distinte. Alcuni, e sono i più numerosi, hanno l’aquila rivolta verso la sinistra dell’osservatore e la leggenda che vi corre intorno suona brevemente: cvmanvs; in altri, più rari, l’aquila guarda a destra, ed è accompagnata dall’iscrizione: civitas cvmana. Potrebbero notarsi alcune altre differenze in poco rilievo, ma lo stile fra l’una e l’altra specie, tranne qualche maggior finezza d’intaglio nei secondi, è uguale come uguali ne sono il peso ed il titolo e mostrano perciò che furono battuti ad una stessa legge. Ora, ammessa l’opinione del chiarissimo cav. Brambilla, non potrebbe dedursi a completamento quasi di essa, che questi secondi grossi, sui quali la parola Civitas sarebbe equivalente a Comunitas, siano stati battuti dopo la lunga lotta fra l’imperatore ed i Comuni lombardi, che colla pace di Costanza (1183) finì per consolidare questi in repubbliche? Ben vorrebbe egli già nella sola parola Cumanus dei primi grossi sottintendere Populus, ma il sottinteso, se vi è, non dà ancora a divedere quella sicurezza della propria libertà e diritti annessi che esprime senza reticenza la parola Civitas. E sarebbe forse puerilità ammettere che anche l’aquila rivolta in altra direzione serva all’espressione di tale concetto, quasi a dinotare le mutate sorti della città? Che se Como, emancipata dalla immediata supremazia dell’impero volle pur mantenere l’impronta ed il nome imperiale, può averlo fatto, oltrechè per l’omaggio che continuava a prestare agli imperatori, per ragioni economiche. Esempi analoghi non mancano, e l’assenza totale di monete repubblicane di questo tempo rende forse più probabile tale supposizione.