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58 vincenzo capobianchi

Il ragguaglio di Genova di tre denari genovini per un denaro pavese antico, servir doveva per le corrisposte censuali ed in moneta spicciola per le quali non poteva darsi la giusta equivalenza, mentre il ragguaglio di Roma del 1195 era per il computo delle grandi somme e perciò divisibile e corrispondente bene all’intrinseco che legalmente doveva contenere quell’antico denaro.

Ignorasi l’epoca precisa in cui nell’Italia cessava l’antico denaro pavese come moneta effettiva, rimanendo valuta ideale. Questa fase non risulta dai documenti, e le formole indicanti il denaro palese antico rimasero costantemente uguali. Un solo indizio di questa cessazione si ha nel fatto, cioè, che nei contratti in luogo di una sola moneta, (la pavese), come era solito praticarsi, principiano ad essere introdotte due specie di monete: la prima quella nuova e corrente serviva al pagamento della somma che doveva farsi alla stipulazione dell’atto: Taltra specie, cioè il denaro pavese divenuto ideale, era per le corrisposte future ossia censi, livelli, rinnovazioni, etc.1.


  1. Contratti ne’ quali sono dichiarate due specie di moneta. La prima, quella corrente è usata per i pagamenti fatti alle stipulazioni ovvero alle scadenze stabilite, l’altra, il denaro pavese, è invece adoperato per le corrisposte future.

    Documenti del Patrimonio di S. Pietro.


        Guglielmo vescovo della città d’Orvieto, nel 1126, concede a livello ad un tale Ildibrandino e suoi Soci, alcuni beni spettanti per una metà alla chiesa di S. Cristina e per l’altra alla chiesa di S. Martino coll’obbligo di pagare ogni anno alla festa di S. Stefano “denarios bonos papiensium iiij «(valuta censuale); mentre il vescovo Guglielmo qui “hunc libellum fieri rogavit «in moneta corrente all’atto della stipulazione “pretium haccepit sol. xxxx medulanensium»; come ancora Bovazano conte che dava termine a quel livello e che diceva averlo in feudo, dal vescovo e dalle infrascritte persone “recepit sol xx medulanensium.» (Cod. Diplom. della Città d’Orvieto; p. 13). — Nel 1131 lo stesso vescovo Guglielmo allivella ad un certo Pietro un ter-