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34 | vincenzo capobianchi |
data ai mezzi denari imperiali che battevansi nelle zecche di Cremona e di Brescia, e che perciò furono detti mezzani, e così in luogo di assegnarvi il medesimo valore del genovino, che era la metà del vecchio pavese, lo disse di valore intermedio. Il Brambilla ritrovò il modo di conciliare i due significati e stabiliva che la moneta mezzana pavese dei documenti astensi o moneta bruna delle carte genovesi era effettivamente metà del denaro pavese, però di quello più antico ed equivalente al valore di tre genovini (n. 2), e che i bruniti furono egualmente mezzi denari pavesi ma di quei più recenti che valsero due genovini (n 3). Da quest’ultima specie discendeva alla scadente moneta dell’atto di concordia fra l’imperatore Federico I ed i Piacentini del 1162, ed infine a quella ancora più scadente della tariffa genovese del 1164.
Primieramente osserveremo che nell’atto di concordia del 11621 e nella tariffa genovese del 1164 non intendesi punto di due differenti specie di denari pavesi ponderate con lo stesso marco coloniese, ma bensì di una sola e corrente specie che nell’atto di concordia, stipulato nella stessa città di Pavia, fu ponderata a peso pavese e perciò il marco d’argento fine trovasi corrispondere a libbre IIII di denari pavesi (soldi 80), mentre nella tariffa genovese fu invece ponderata col marco di Colonia, il quale, essendo più grave, occorrevano dei medesimi denari libbre IIII e soldi VI (soldi 86), preziosissimo ragguaglio che ci faceva conoscere la proporzione di peso fra questi due marchi.
Secondariamente diremo che in queste tassazioni nulla vi è che possa far supporre recenti o nuove
- ↑ Boselli Gio. Vincenzo, Delle Storie Piacentine, App. di Docum., pag. 313 "VI milla marcanim ezaminati et puri argenti, vel pro una quaque marca IIII libras papiensium denariorum«.