corso che questa ebbe in tutta Italia, e pei rapporti con le altre due monete associate di Lucca e di Milano. Il Brambilla non tralasciò ricerche per determinare le fasi di questo oscuro ma importante periodo della moneta pavese, però conviene ammettere che l’illustre numismatico abbia omesso una cosa, cioè di non aver generalizzate le ricerche, che possono dirsi limitate ai soli documenti di Pavia e di Genova; per la qual cosa alcuni fatti essenziali o gli apparvero sotto una forma incompleta o gli rimasero del tutto ignorati. Egli non potè perciò osservare che colla denominazione denarius papiensis, senza altro, nel XII secolo in Italia s’intendeva l’antico e vecchio pavese, il quale tanta celebrità acquistò come valuta censuale da conservare inalterato ancora nel XIII secolo il valore di quell’accreditata specie che nell’XI secolo erasi propagata per l’Italia; e che la decadenza dell’officina pavese principiò circa l'anno 1100 colla cessazione di questo celeberrimo denaro, del qual fatto fu cagione la costituzione a repubblica del comune di Pavia, per cui quella zecca da regia divenne municipale, mentre il Brambilla credette che questa emancipazione avesse portato invece a quell’officina un nuovo lustro. Egli non si avvide ancora che all’elevato valore dei denari che le tre officine italiche Pavia, Lucca e Milano battevano nell’XI secolo seguì un periodo di generale diminuzione, che fu adottata ancora dalle nuove zecche che nel XII secolo andarono man mano costituendosi in Italia, per la qual cosa non furono fatte restituzioni e ripristinazioni di sistemi monetari passati che riaumentassero il valore delle monete correnti in quel periodo, perchè contrarie e d’impedimento alle nuove e più ragionate esigenze commerciali. Egli infine non potè osservare che il numero delle specie dei nuovi denari da lui assegnati alla zecca di Pavia dal 1100 al 1172 era eccessivo in