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42 | francesco gnecchi |
imperatori più famosi pei giuochi, quali Nerone e Trajano, quelle d’Augusto, di Galba o di Vespasiano, quelle delle più disparate deità, di poeti, di filosofi, di eroi, tutte hanno la medesima ragione d’essere. E parimenti dicasi delle rappresentazioni. Siano esse relative ai giuochi del circo o del teatro, siano mitologiche, eroiche o storiche, portate o no sul campo del teatro, non hanno più bisogno d’alcuna spiegazione né d’alcun raziocinio per essere ammesse. Le rappresentazioni dell’anfiteatro e gli dei dell’Olimpo, gli eroi della favola, gli episodii dell’Iliade e dell’Odissea, l’auriga o il cavallo vincitore, tutto può avere la sua opportunità, secondo il significato che in un dato giuoco vi si attribuiva. Tutto è accettabile, tutto va bene e nulla stuona.
Mi si permetta un paragone. Se mai dovesse avvenire fra un migliaio d’anni, o anche meno, che uno scoprisse in qualche vecchio ripostiglio, alcune carte del nostro classico tarocco — dato che allora qualche altra invenzione avesse sostituito le carte da giuoco e di queste si fosse perduta la memoria — come mai potrebbe egli raccappezzarsi e trovare una relazione fra il Papa, il Matto, la Morte, la Torre, l’Appeso, la Fortuna, il Giudizio Universale e altre simili allegorie strampalate e pazze? Potrà trovare assai bene in queste, come noi nei Contorniati, da sbizzarrire in congetture le più disparate, potrà riconoscervi i significati più arcani e più cabalistici; ma è certo che non verrà mai a capo di nulla di concreto, volendo spiegare cosa, di cui gli manca la chiave.
Ora a noi è precisamente la chiave che manca per spiegare il significato, che dovevano avere le diverse teste e i diversi rovesci dei Contorniati, e per indovinare in quale relazione potessero essere questi e quelle fra di loro; tanto più che tali relazioni, trattandosi di giochi, sono assai più dipendenti dalla bizzarria