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160 | francesco gnecchi |
mente probabile, che le lettere nel campo stiano veramente a indicare la zecca, sorge naturale una osservazione: Se queste lettere furono assai usitate da Valentiniano fino ad Anastasio, durante il quale periodo, attenendoci al principio esposto, riesce facile una divisione netta fra le monete coniate in Oriente e precisamente a Costantinopoli (colla sigla CONOB e nulla o una semplice stella nel campo) e quelle coniate in Occidente (colla sigla COMOB e le lettere nel campo); perchè durante la dominazione dei Goti scompaiono quasi completamente, e non figurano che molto eccezionalmente su pochi soldi e pochi tremissi, in proporzioni infinitamente minori al numero delle monete che si trovano in Italia e a quelle che presumibilmente furono dai Goti coniate?
Rimane il famoso aureo d’Anastasio col preteso monogramma di Teoderico alla fine della leggenda del rovescio1 e dico preteso, perchè, oltre che incompleto, esso è anche affatto differente nella disposizione delle lettere dai monogrammi che vediamo sulle monete d’argento dello stesso Re, i quali almeno offrono tutte le lettere componenti il nome di THEODERICVS.
Ma, ammesso pure il monogramma, l’obbiezione fatta alla indicazione delle zecche colle iniziali nel campo, si può qui rinnovare.
Se veramente Teoderico avesse inteso di imprimere il proprio monogramma sulle monete d’oro, perchè ve lo pose su un così piccolo numero, che gli scarsi esemplari che ci rimangono, formano una
- ↑ Non occorre parlare dell’altro aureo colla lettera Θ alla fine della leggenda del rovescio, in cui il Lenormant volle vedere l’iniziale greca del nome di Teoderico, troppo essendo evidente che non si tratta d’altro che di una cifra numerale, come tutte le altre cifre greche comunissime sui solidi di quest’epoca.