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12 ettore gabrici

venticinque triremi siracusane, e dalla notizia che un forte esercito siracusano era in cammino alla volta loro. Non valse però il coraggio di quei cittadini che respinsero il nemico, nonostante una parte delle mura fosse stata demolita per uno stratagemma di Annibale; non valse l’aiuto dei Siracusani e di altri alleati che in numero di 4000 eran dentro la città, sotto il comando di Diocle; non valse la posizione, quasi inespugnabile, a salvarla dallo sterminio. Un’astuzia del nemico bastò a farla cadere. Annibale sparse la voce che la sua flotta, rimasta a Motye, avea girato il capo Lilibeo e stava per assalire Siracusa che era allora senza validi rinforzi. I Siracusani dinanzi al pericolo della loro città natale, dimenticarono ogni sentimento di pietà verso le altre, e subito, abbandonando Imera agli assalti di quella terribile oste, si affrettarono a far ritorno in patria. Per così repentino mutamento di fortuna gl’Imeresi dovettero per forza appigliarsi al consiglio di Diocle, cioè abbandonare la città, non bastando essi soli a difendersi. Molti cittadini furon trasportati a Messana per mare, e molti altri seguirono Diocle. Il giorno dopo i Cartaginesi entravano in città. Dei prigionieri, le donne e i fanciulli furono mandati in Africa come schiavi, e gli uomini, circa 3000, furono immolati ai mani di Amilcare. La distruzione d’Imera fu invero più completa di qualsiasi altra città sicula che in questo periodo cadde nelle mani dei Cartaginesi: Annibale volle che fossero demoliti i templi e la città rasa al suolo (409 a. C). E quando non molto dopo Ermocrate ritrovò il sito d’Imera, essa era tale un mucchio di rovine, che fu costretto ad accamparsi fuori le mura1.


  1. Diod. XIII, 73.