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se i Reggiani abbisognassero di moneta da mettere in circolazione, avrebbero potuto ricorrere alla zecca di Ferrara1.

Gli Anziani non si perdettero d’animo per questo e tornarono a rivolgersi al duca, ripetendo la stessa domanda, nel novembre e nel febbraio del successivo T506, mostrandogli ancora per toccarlo nel debole, che il batter monete a Reggio era infine evidentem gloriarti et honorem sue Celsitudinis.

Questa volta il duca, mosso alle preghiere dei Reggiani, concedeva finalmente loro di riaprire la zecca purché si battesse moneta alla lega di Ferrara e si ordinassero in questa città i conii2.

Nel febbraio dell’anno medesimo infatti si decise dal Comune di Reggio di far battere, secondo la concessione ducale, dei ducati d’oro, testoni, doppi soldi e soldi e si ricorse ancora, per la fabbricazione dei ponzoni, all’orefice ferrarese Giannantonio da Foligno, in questo tempo maestro di stampe a Ferrara e orefice di corte, che ne avrebbe avuto in mercede venticinque ducati d’oro. Vi fu allora un lungo carteggio tra gli Anziani di Reggio, i loro agenti in Ferrara e Girolamo Magnanini, segretario ducale, sulle impronte da eseguirsi nelle nuove monete. Il duca avrebbe voluto vi si mettesse l’arme di Casa d’Este, mentre i Reggiani avevano scelto l’effigie del patrono San Prospero.

Allora Alfonso volle impedire ogni ulteriore coniazione, ma si acquetò, specialmente per opera del conte Nicolò da Correggio, ed esaminati i disegni dei conii fatti da Giannantonio, finì coli’ approvarli tutti, meno quello del soldo in cui sostituì alla palla di fuoco un’altra impresa estense, il diamante.


  1. V. Documento XVII.
  2. Arch. cit. — Registri delle lettere, e. 87, 1° febbr. 1506.