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280 | francesco gnecchi |
giore o minore perfezione di lavoro e rotondità dei tondini. Come questi sono meglio fatti e più regolari nelle buone epoche, così più equilibrati sono i pesi, i quali oscillano sempre più quanto più cattivi sono i tempi e quanto più decade in tutto il resto la società. Così abbiamo il massimo della rotondità e della regolarità di peso nelle monete ai bei tempi di Traiano e d’Adriano, e raggiungiamo invece il colmo dell’irregolarità di forma dello squilibrio di pesi nell’infelice tempo di Gallieno.
Certo sbaglierebbe chi credesse che io voglia basare tutto il sistema della monetazione romana di bronzo sull’ispezione del nostro ripostiglio; fare cioè di questo un monumento che dovesse servire di norma inappellabile di giudizio. Tengo anzi a dichiarare che per parte mia non lo credo un ripostiglio ufficiale, — che non si vedrebbe il motivo per cui poteva essere stato nascosto un fondo di zecca ufficiale, — bensì quello di un privato falsario, il quale probabilmente l’avrà nascosto in un momento di panico che la sua industria venisse scoperta. Ma considerandolo pure come tale, io credo che si possa egualmente ritenere come una copia fedele di quanto si faceva nelle officine dello Stato. Nè il costo, né la fatica, né il tempo sarebbero stati maggiori a fondere addirittura i tondini invece che le verghe; e se il nostro falsario non lo ha fatto, bisogna conchiudere che l’uso non era tale. Per noi resta dunque stabilito che presso i Romani si usava apprestare i tondini per le monete nel modo che lo dimostra il nostro ripostiglio, modo che di certo non viene punto smentito, anzi secondo noi risulta riprovato, dalle osservazioni che si possono fare sulle numerosissime monete di bronzo, che l’antichità ci ha trasmesso.