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della vita di lui, di complessione nè robusta, nè sana. Del che dette prova specialmente nel giugno del 1514, quando facevansi in Firenze i preparativi di certo feste, istituite da Lorenzo il Magnifico, ed ella commetteva a Baldassare da Poscia di dissuaderlo per lettere dall’esercitarsi nelle giostre, dall’indossare gravi armature e dal correre su grossi cavalli. Insisteva cioè perchè pensasse quali de’ Medici avessero giostrato in antico: pensasse che quando giostrava Pietro di Cosimo, n’erano al mondo ancora il fratello ed il padre, preposto al governo della città; che se Lorenzo il Magnifico aveva preso parte a uguali esercizi, l’aveva fatto quando vivevano ancora il padre, che pur governava la città, e il fratello Giuliano; che Pietro, il padre di lui aveva pur giostrato, viventi due fratelli e due figliuoli, ma non senza biasimo. Voleva riflettesse inoltre che la via, battuta da lui, era troppo pericolosa per ciò, che si riferiva al casato, non trovandovisi a rappresentarlo ch’egli solo, giovane ancora e inesperto, e Giuliano di malferma salute, celibi entrambi. Esortavalo da ultimo a contentarsi di starsene spettatore, a curar la propria salute, e a pigliarsi pensiero dell’avvenire della famiglia. E questi savi ammonimenti faceva ella comunicare a Lorenzo, oppressa da grande passione e quasi con le lagrime agli occhi e con tutte quelle preghiere, che sa fare una madre1.

Con sì fatte preoccupazioni dell’animo intorno all’avvenire de’ Medici, era naturale ch’ella vagheggiasse Dio sa quali parentadi e derivasse dalla viva opposizione di lei se non si potè mandare ad effetto il matrimonio, già patteggiato co’ Soderini, tra la

  1. Roscoe, Op. cit., Vol. V, cap. XII, § XI e vol. VI. Appendice, n. CXV. Milano. 1816 e 1817.