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330 arturo g. sambon


Venne così egli nella determinazione di proporre il cavallo napoletano, il quale, ad un tempo, doveva raffigurare la città di Napoli, di cui era glorioso simbolo e significare la giustizia del re, mediante la simiglianza delle voci equus ed æquus. E, per rendere più chiaro questo pensiero, un po’ stentato in verità, fece scrivere all’intorno EQVITAS • REGNI • Dalla quale rappresentanza venne a questa moneta di rame il nome di cavallo che durò per cosi lungo tratto di tempo1. Cosi dal Carafa fu rimesso sulla moneta il simbolo cittadino che, come ho dimostrato in un mio lavoretto sulle monete del Ducato Napoletano, ebbe già a figurare su monete del XII secolo, e su di un prezioso denaro, coniato quando Napoli, nel 1251, ribellossi agli Svevi, ergendosi a Comune, sotto la protezione di Innocenzo IV.

I cavalli di Ferdinando I d’Aragona furono coniati nelle zecche di Amatrice, Aquila, Brindisi, Napoli2 e, come dimostrerò in seguito, mediante un prezioso e, sinora unico esemplare della mia collezione, anche nella zecca di Sulmona.

In ogni libbra tagliavansi 180 cavalli, 12 dei quali formavano un grano. Di modo che l’intera libbra di rame monetato, veniva ad essere rappresentata dal valore nominale di 15 grana. Detta libbra veniva a costare alla Regia Curia circa 13 grana3, e quindi vi era un utile di solo due grani.



  1. Sin dal 1487 trovo nelle lettere della curia la denominazione di cavallucci per i piccioli di rame (3 marzo 1487, vol. 20, fol. 186).
  2. Il Fusco crede si coniassero pare a Capua e attribuisce a quella zecca i cavalli colle lettere C A in monogramma.
  3. Salvatore Fusco in certi suoi studii sulle monete aragonesi (mns. Bibl. di San Martino) ha determinato il costo approssimativo di queste monete. Riporto qui le sue parole: « Dal quaderno delle spese e pagamenti fatti dalla zecca di Lecce nell’anno 1465 e da varie comissioni