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il ripostiglio di como 169

tanto in quell’anno). Supponevo che Giangaleazzo avesse tardato qualche tempo a coniare monete maggiori, provvedendo dapprima alle necessità del minuto commercio; ed ero suffragato in tale mia supposizione dal fatto che le monetuccie di piccolo taglio appartenenti ai principi anteriori, benché abbastanza numerose, sono sciupate e consunte, talché i nuovi sesini di Giangaleazzo appaiono emessi per sopperire ad un’immediata necessità.

Ma continuando a fantasticare sulla completa assenza dei pegioni di Giangaleazzo, ed esaminando il problema sotto tutti gli aspetti, fui ricondotto involontariamente allo studio dei tipi; ed il risultato cui giunsi sarebbe che il pegione n. 3, tav. VII Gnocchi, attribuito sinora a Galeazzo II (v. Litta, ecc.), debba essere dato invece a Giangaleazzo, in quel modo stesso in cui il chiar. nostro collaboratore Cav. Gavazzi rivendicò a Giangaleazzo il fiorino d’oro colla corona (n. 1, Tav. VII Gnecchi), attribuito anch’esso a Galeazzo II.

A quest’ultimo principe non resterebbero allora che le tre monete n. 2, 4 e 5, Tav. VII Gnecchi, le quali tutte (si noti) hanno l’impresa delle secchie (propria appunto di Galeazzo) ed il cimiero cristato, che sul bellissimo fiorino d’oro sociale è attribuito espressamente a Galeazzo, in opposizione al cimiero piumato di Bernabò1.

La mia congettura è fondata su questa circostanza di fatto: — il pegione n. 4, Tav. VII Gnecchi (cioè col cimiero cristato), che rimarrebbe a Galeazzo II, è affatto simile a quello di Pavia, il quale indubbiamente appartiene a Galeazzo stesso2; in-

  1. Cfr. Gavazzi, Ricerca del fiorino d’oro di Giangaleazzo Visconti (nella presente Rivista Anno I, 1888, fasc. IV).
  2. Brambilla, Monete di Pavia.