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il tarì amalfitano 127

lo stesso Gisulfo, dopo che fu scacciato da Salerno nel 1077, ed errò profugo qua e là, quando gli amalfitani, scosso il giogo Normanno nel 1088, lo preposero al loro governo, facesse coniare quella moneta, che in un tempo doveva indicare il titolo nuovo di duca d’Amalfi, e rammentare nella parola Salerno, le sue pretese sull’avito principato. E non l’accetto, perchè Gisulfo non avrebbe trasandato d’aggiungervi il suo nome, e perchè fugace troppo fu la sua signoria in Amalfi; e perchè, i caratteri diversi che distinguono la moneta segnata col Sant’Andrea da quella che reca le sigle R • D • e dagli altri tarì dell’epoca normanna, non ci consentono di ritardarne la coniazione fin quasi al termine del secolo XI.

Storicamente ha maggior sembianza di vero la seguente ipotesi. Cioè, che non un principe di Salerno facesse battere quella moneta, ma un duca d’Amalfi. E tra questi si sa, che Mansone II, nel 981, riuscì ad impossessarsi dell’emula città e tenne quella e il principato salernitano per breve tempo.

Qual meraviglia ch’egli abbia voluto commemorare il vanto glorioso di quella conquista, segnando insieme all’invocato nome del Santo protettore della sua patria, il nome della città sottomessa?

Forse può nascere il dubbio se, con tale ipotesi non si avanzi troppo l’epoca a cui, per la qualità del metallo e le peculiarità del tipo, sembrerebbe doversi attribuire. Certo tra questi tarì ed altri moltissimi anteriori pure al dominio normanno è parecchio divario, perché in esso è ancora perfettamente leggibile l’epigrafe e negli altri, invece, diviene sempre più sformata, sino a ridursi una sequela graduata d’asticelle dalle quali più non si può trarre alcun elemento sicuro della formola originaria dei Moezzini.