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118 | arturo g. sambon |
del 913. Questo documento, però, era monco nel Regesto consultato dal Camera, ed il Capasso, colla scorta di un altro Regesto più completo, dimostrò che quel documento è del 1063 e non del 9121. Per quanto io sappia, non si ha alcuna menzione del tarì amalfitano nei documenti della prima metà del X secolo; ne abbiamo invece notizia nei primi anni della seconda metà di quel secolo2, e da questa si può trarre un’importante considerazione. Si può cioè, determinare che gli amalfitani, nel conio del loro tari dovettero imitare la moneta aurea del Califfo Al-Moez-ledin’-illah.
Non v’ha certamente chi ignori l’esteso e ricco traffico che facevano gli amalfitani, nel X secolo, in quasi tutto l’Oriente e negli stati Musulmani dell’Africa settentrionale.
Ancora più frequenti e importanti erano i loro commerci in Sicilia, sia per la maggior facilità, sia per l’abbondanza dei prodotti e della merce che i Musulmani vi avevano trapiantati o v’importavano. Queste relazioni continue e la necessità di agevolarle fecero nascere il bisogno di contraffare i dinar arabici. Né Amalfi fu sola, tra le città del mezzodì d’Italia, ad imitare la moneta araba ; Salerno anch’essa, in continui rapporti commerciali colla Sicilia3, sin dalla metà del X secolo, coniò tari ad
- ↑ Il Capasso lo riporta al N. 498 del II vol. dei Monum. Neap. ducatus. Il Regesto del Capasso dimostra che il contratto facevasi dalla stessa Anna abbadessa del Monastero di S. Gregorio o S. Liguoro, che aveva fatto il contratto antecedente del 1048 (v. n. 483).
- ↑ Il Camera cita i documenti degli anni seguenti: 957-973-997. È da osservare però che i tari amalfitani non ebbero sempre quella gran rinomanza che vogliono attribuir loro il Pansa, il Camera ed altri.
- ↑ Già dai primi anni del X secolo era ricercatissima qui, nel mezzodì d’Italia, la moneta Arabo-sicula, sia perchè d’oro purissimo, sia per ragione del commercio coi Musulmani. A Salerno se ne ha menzione