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522 | giuseppe ruggero |
Giorgio Adorno Doge XVII. Vedendo i disegni che ritraggono queste due monete nella Tavola II del Gandolfi, ognuno si persuade che si tratta veramente di un soldino e di una petachina del Tommaso per il suo secondo dogato, da non confondersi con quelle del primo, nel quale si segnava t. d. c. Non c’è dubbio quanto alla specie, perchè sole quattro erano quelle in uso per l’argento ed il biglione; il grosso, il soldino, la petachina ossia mezzo soldo ed il minuto. Il soldino non può confondersi con alcun’altra né per diametro né per impronta; e dalla petachina, sola moneta che a primo aspetto gli si avvicina alquanto, si distingue agevolmente per gli archetti che stanno internamente al circolo di perline, mancanti in quella1.
In oggi non sarebbe più possibile l’errore di questa attribuzione, perchè nel metallo stesso delle monete in discorso, si avrebbe il criterio più decisivo in proposito. Infatti all’epoca del decimo Doge (1383-84), troviamo un valore ben differente per il soldo, da quello che correva nel secondo dogato di Tommaso Campofregoso (1436-42). Mentre nel 14372 il fino del soldo è 0,905 e vi corrispondono i soldini del Tommaso al titolo di 500 con alcune eccezioni che se ne scostano di poco; nel 1365 invece abbiamo il fino di 1,459, e nel 1390 di 1,4313. Inoltre il Cartolario di zecca del 1390, ci dà la no-
- ↑ Nel disegno del rovescio al N. 22, Tav. II del Gandolfi, mancano gli archetti; e nel dritto, il C fu scambiato con una rosetta, per una svista del disegnatore.
- ↑ Vedi Desimoni, Le prime monete d’argento, etc., in «Atti della Soc. Lig. di S. P. Vol. XIX, pag. 21 B, Cartolario di zecca 1437.
- ↑ Vedi Desimoni, ibid.. pag. 210, Cartolari del 1365 e 1390.