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successivamente ridato in mano degl’imperiali ministri, Teotisco e Teodoro, venuti dalla Sicilia con titolo di Maestri dei Militi. Ma quella mutazione subito increbbe; i fautori del dritto ereditario sollevaronsi, sbandirono Teodoro, acclamarono l’anno 821 il nipote del seniore Vescovo-Duca. E questo secondo Stefano, apertamente ribelle ai Greci1, si può intendere che a ragione imprimesse il nome suo sulle monete.

Non pertanto questa deduzione, che ha molta apparenza di vero, non basta a sciogliere l’enigma maggiore. Il Fusco raccolse sino a quaranta esemplari delle monete di Stefano con tipo più meno dissimile2, e anch’io ne posseggo buon numero di conio diverso, e a volte assai strano. Il tipo originale e più corretto è il seguente:

Rame. gr. 1,61 (Collez. Sambon)3.

D/ — Effigie di S. Gennaro tonsurato, in abito episcopale, con la scritta SCS IAN.

R/ — S T divise da una croce su due gradini.

(Tav. X, N. 12).


Le altre sono di stile meno corretto, e in parecchie fra queste i contorni della figura del Santo, allargandosi, contorcendosi, confondendosi, alterarono il disegno, per modo che il cocuzzolo raso del Vescovo martire prese foggia, o di un nimbo, o di un berretto a punta o spianato; e il piviale si cangiò in un intrigo indefinibile di linee. E peggio ancora, in alcune le lettere dell’epigrafe, furono in parte trasandate, o capovolte e impresse a rovescio, e perfino mutaronsi nello sgorbio indicifrabile, che apparisce al nu-

  1. Un argomento a provare che la sovranità greca fu allora, almeno di fatto, sconosciuta a Napoli, può trarsi dal vedere che nell’ostinata guerra combattuta dorante il ducato di Stefano II, tra Napoletani e Longobardi, non si accenna mai all’intervento dei Bizantini.
  2. I disegni di questi varii esemplari, raccolti dal Fusco in due Tavole rimaste inedite, si conservano presso il prof. Luppi in Milano.
  3. Le altre al n. 13, 14 e 15, della stessa Collezione, hanno presso a poco l’istesso peso.