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lettere a prima giunta, e non difficilmente leggibili, ma che nella loro riunione non sembravano prestarsi ad applicazione pratica, a città qualsiasi, non che fra quelle già note per monete al nome di Desiderio, ad altra che pur si fosse già soggetta a quell’ultimo dei re longobardi.

Quella importante moneta era stata trovata nel luogo detto oggi Camatta ed anticamente Campomalo, a brevissima distanza da San Colombano presso le pendici sud dei suoi colli, in adiacenza alla strada, che da Pavia conduce a Cremona passando per Corteolona, ove sin dai tempi di re Liutprando esisteva un regio Palazzo. Camatta o Casamatta è attiguo al sito ove sorgeva il Castello di Montemalo che ora si nasconde nel modesto cascinale detto Castellazzo nel comune di Chignolo di questa provincia di Pavia1.

Era viva nel proposto Gallotta la brama di avere completa l’interpretazione del cimelio longobardico di cui gli era riuscito d’impedire l’emigrazione, ed essendogli balenato alla mente il pensiero, che appartenendo esso ad altro dei re longobardi, potesse essere sortito dalla zecca non lontana della loro capitale, Pavia, ne comunicò le impronte al chiarissimo professore Turroni della nostra Uni-

  1. Devo alla compiacenza dell’egregio Cav. Fiorani, medico primario dello Spedale maggiore di Milano, la notizia del luogo ove il tremisse di Desiderio venne scoperto e raccolto. Egli per me la ricercò e trascrisse dalla memoria originale del proposto Galletta di cui era congiunto. Montemalo col suo castello era località di molta importanza in relazione ai munimenti del vicino e dominante San Colombano e la vicinanza sua all'antica grande strada pavese, ed alla Corte regia, che prese il nome dall’attiguo fiume Olona, dà modo anche di spiegarsi come appunto nella stessa località potesse andar smarrita e quindi scoprirsi la preziosa nostra moneta. Tengo poi anche sicura informazione essersi ivi rilevata resistenza di antiche sepolture in parte già violate e scomposte, e ritenute da chi le ebbe ad esaminare di epoca assai remota. Il nome di Campomalo ricorda dolorosamente una vittoria dell’arcivescovo Ariberto a capo dei militi maggiori o capitani milanesi, contro i concittadini del partito dei militi minori o valvassori, e fuorusciti alleati ai lodigiani nell'anno 1036.