Signoria di Venezia, l’unica, ch’ebbe a soggiacere all’impero per il corso non interrotto di quasi otto anni, dal 1509 cioè al 1517, fu Verona. Era la città, alla quale per la non dubbia sicurezza e per le dirette comunicazioni con la Germania facevano capo i rappresentanti dell’Impero e talvolta l’Imperatore medesimo. Che al Bannissio si porgesse occasione di visitarla e d’intrattener visi, fors’anco, non è cosa mi pare che si possa mettere in dubbio. Ciò posto, perchè non si potrebbe pensare che la medaglia si coniasse in Verona, od uscisse per lo meno dal punzone di qualcuno degli artefici veronesi? È questa una congettura, che non mi sembra fuori di proposito, quando si voglia por mente non tanto alle prove di raro valore nel lavoro de’ conii, quanto alle speciali condizioni della città, che, non soggetta allo fortunose alternative delle altre terre della Venezia, concedeva un asilo abbastanza pacifico allo arti. Il grido di Vittore Pisanello e di Matteo Pasti, già fioriti nel secolo XV, proseguivasi allora per una pleiade di artefici veramente meravigliosi nell’arte dell’incisione. Delle medaglie lavorate da Francesco Caroto, da Giammaria Pomedello, da Giulio Dalla Torre, da Matteo del Nassero e da Giangiacomo Garaglio parlano i biografi del tempo e se ne conservano non pochi esemplari ne’ Musei d’Italia, di Germania, d’Inghilterra e di Francia. Lavoro perfetto e non indegno del punzone d’alcuno di que’ maestri famosi potrebbesi giudicare, senza tema d’errore, la medaglia in onor del Bannissio. Ma la finitezza del conio non basta a fare indovinare, anche per larghe congetture, chi ne fosse l’autore. Potrebbe forse cogliere nel segno chi conoscesse da qual mano uscisse la