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gative sovrane, che non potè sicuramente avere. Fra queste, piacque ad essi di annoverare la Zecca, di cui l’antichità altri fecero rimontare ai Goti, altri al primo o secondo Berengario e ad Ugo e Lotario, appoggiandosi su carte di enigmatico significato, o valendosi d’iscrizioni lapidarie per lunga età posteriori e di testimonianze di storici non coevi. Ma nessun danaro antichissimo, che esista di quei tempi, evvi genuino; e danari invece che si hanno coll’impronto VENECIAS (e si conoscevano fino d’allora che la questione cominciò ad essere ventilata, del secondo e terzo imperatore Carolingico, susseguiti dagli Enrici e dai Corradi), depongono contro tali pretensioni; le quali erano già state in genere abbattute o rese grandemente dubbiose, fino dal principio del secolo XVII, dall’autore del libro famoso: Squittinio della Libertà Veneta.

In questi ultimi anni il cavaliere di San Quintino, facendosi forte di un’ordinanza di Carlomagno dell’805 e 808, datata da Thionville, in cui prescrisse che la moneta in nessun altro luogo fosse battuta che nel suo Palazzo o Corte; ordinanza rinnovata da Carlo il Calvo, suo nipote, in Pistes nel 854, impugna ed atterra la Zecca di Venezia ed ogn’altra d’Italia; opinando per una sola fabbrica in Francia delle monete dei monarchi predetti, sorpassata avendo la difficoltà grave delle imperatorie tedesche, le quali chiaro è, che traggono la genealogia dalle prime1. Ma dato ancora che obbligatorî siano stati i capitolari di Carlomagno per li suoi successori, locchè non è certo, e per riguardo a Lotario non so come

  1. Osservazioni critiche intorno all’origine ed antichità della moneta veneziana, Torino, dalla stamperia Reale, 1847, a pag. 12.