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compendio storico di quindici zecche italiane 487

cammino, se ne incontrano di questi tempi altre tre, contemporaneamente aggiunte alla metropolitana nostra, e sono: Verona, Padova e Siena, città che mostrano il dominio visconteo dilatato dalle radici dell’Alpi al cuore dell’antica Etruria, e dall’uno all’altro mare, di cui natura fe’ dono.

Cominciando dalla prima nominata, nella Raccolta dell’Argelati e dello Zanetti1 se ne ha la storia dal suo nascere, fino a che durò, scritta dal Zagata e dal marchese Dionisi, corredata quest’ultima da giudiziose note di Zanetti. A questi scrittori si deve aggiungere il conte Carli, che ne trattò di volo in più riprese. Scorrendo le loro opere, si raccoglie per mera congettura, tratta dall’analogia del sistema politico dei Longobardi eguale ai Franchi, che zecca in Verona sia esistita nel dominio dei predetti Longobardi, mentr’era governata dai duchi, siccome si sa da Le Blanc esservi state zecche assai numerose in Francia a quel tempo coi Merovingi, e Carolingi dopo, nelle città capitali di provincia dove risiedevano i duchi e governatori. Maggiore è la probabilità che si affaccia coi Franchi, dacchè Pipino, figlio di Carlomagno, fu spedito dal padre a farvi residenza. Per questa ragione, che dove è il principe stabilmente dimorante, ivi è la zecca, non si può dubitare che il primo Berengario re e poscia imperatore, che vi soggiornò tanto tempo e vi mori, non abbia coniato moneta; e già un documento del 921, vivente esso Berengario, accenna ad un Domenico, Monetario della città di Verona2. Tipi per altro col nome di monarchi del secolo VI al X, forniti di

  1. Vol. II, pag. 45 e seg. — Vol. IV, pag. 203, ecc.
  2. Zanetti, Raccolta, ecc. Vol. IV, pag. 292.