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compendio storico di quindici zecche italiane 343

l’investigare in qual modo sia stato provveduto al bisogno del minuto commercio popolare, durante il lungo periodo de’ bassi tempi, senza rame, di cui non se ne ha traccia veruna, tanto più sul riflesso della scarsità in allora dell’argento e quindi dell’incomparabile suo maggior valore. Altri lo vedranno, non potendo io qui estendermi in lunghe dissertazioni.

La nostra istoria seguiteremo coll’entrare nel merito dell’arte; riepilogando in parte ciò che fu già osservato dei secoli, sui quali si distende la raccolta e aggiungendo le notizie su di quelli, oltre i quali essa non si trasporta.

Abbandonati gli incerti nummi romani del secolo IV e principio del V, dei quali basterà il dire che manifestano la decadenza decisa dell’arte, ed abbandonati pure li pochi conii dei re Longobardi in oro innominati, di Pavia probabilissimamente, che non ci appartengono, e che si hanno da Ariberto I del 653; converrà portarsi a Desiderio del 757, per dire che essa mostra la barbarie che aveva preso piede in Italia. I successivi danari d’argento di Carlomagno fanno testimonianza degli sforzi magnanimi di quell’augusto per far risorgere li buoni studii, sforzi che vani furono resi dall’ignavia dei successori di sua casa, ond’è che scadenti quanto mai, sono gli ultimi conii carolingici di Carlo il Calvo (875), di Carlomanno (877), di Carlo il Grosso (881). Fra gli altri difetti nominerò il più grave: inintelligibile, od a stento raccozzabile n’è la scrittura, con sommo discapito, di non poche monete sicuramente di quei monarchi per lo stile di questi tempi, capitatemi alle mani, che vanno perdute, l’iscrizione essendo l’anima e la vita loro.

Quattro secoli ancora più tenebrosi, in cui ogni