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336 | giovanni mulazzani |
contando dalla decadenza del Romano Impero, per li monumenti metallici incontrastabili di cui fa mostra continua per lo sterminato giro di tredici secoli, non cede, dico, che all’unica Roma, la quale novera l’impronto del gran Teodorico, e va altera di tanti imperatori coronati nelle sue mura e dei Papi che dettero leggi ad innumerevoli popoli sparsi sul globo.
L’attività maggiore, che l’officina nostra abbia avuto, si può stabilire sotto il Regno d’Italia; in 6 anni, dal 1807 al 1812, fu posta in circolazione la grandiosa somma di 117 milioni di lire italiane, in oro, argento e rame; e questo lo sappiamo dal resoconto stampato dal ministro delle finanze Prina, del 1812 predetto1. Lunga ed erronea opinione ha sussistito presso di noi, alla metà del secolo scorso, sui tesori dell’America, che avessero arricchito la Lombardia nel corso del 1600, in cui fummo dominati dalla Spagna. In un mio opuscolo stampato, nonchè alla sua competente rubrica, io l’ho combattuta, dimostrato avendo coi registri della nostra zecca di quel tempo, che tutta la monetazione spagnuola, dal 1556 al 1711, non ammonta che a 264 milioni di lire italiane. E ciò non bastando ho tessuto in brevi note la storia economica gloriosissima d’Italia del medio-evo, e quella in particolare d’Insubria nostra, a persuadere delle ricchezze infinite di cui fummo padroni dal XII al XV secolo e che all’opposto vennero meno nei due secoli dopo. Più della spagnuola, floridissima è da credersi sia stata la zecca di Milano nell’era viscontea alla metà in ispecie del 13002. Però l’onor suo massimo fu sul declinare