traprese la pratica legale sotto gli auspici del dottor Nicolò Santi, trovando tuttavia il tempo d’esercitarsi nel decifrare le antiche pergamene dell’archivio della cattedrale modenese. Fatta conoscenza col marchese Gian Gioseffo Orsi bolognese e coi fratelli Francesco e Giberto Marsigli, il primo de’ quali divenne poi vescovo di Perugia, ed il secondo, salito all’onore cardinalizio, fu creato vescovo di Novara, a loro persuasione accolse l’invito del conte Carlo Borromeo di Milano, che lo chiamò a sedere fra i dottori dell’Ambrosiana. Recatosi pertanto nella capitale lombarda nei primi giorni del febbraio 1695, quivi fu ordinato sacerdote il 24 settembre di quello stesso anno. Nell’Ambrosiana nulla lasciò di inesplorato. Codici, antiche pergamene, cronache, documenti d’ogni genere furono oggetto delle sue indagini e delle sue pubblicazioni. Per tal modo ingrandivasi la sua fama e spargevasi per tutta la colta Europa, acquistandogli l’ammirazione e l’amicizia degli uomini più illustri per dottrina sì italiani che stranieri. Tenne viva corrispondenza coi più dotti del suo tempo, fra i nostri, col Noris, col Bianchini, col Ciampini, col Magliabechi, e fra gli estrani, col Mabillon, col Montfaucon, col Papebrochio. Cinque anni sedette all’Ambrosiana, frequentando pure le più accreditate Accademie che allora fiorivano in Milano, ed in ispecie quella istituita per di lui impulso nella casa Borromeo, quando all’esordire del 1700 il Duca di Modena, Rinaldo I d’Este, lo richiamò in patria eleggendolo suo archivista e bibliotecario. Ubbidì il Muratori e nell’agosto di quell’anno lasciò Milano e ritornò a Modena, applicando d’allora in poi il suo ingegno e la sua penna a difesa ed a lustro del suo Principe. Pose tosto mano all’ordinamento dell’archivio ducale, ed asportato questo da Modena per sottrarlo alle spogliazioni a cagione della guerra coi francesi nel 1702, non rifuggì dalla