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62 | giovanni mulazzani |
Tom. VIII, Vindobonæ 1802), e soverchio sarebbe di far riflettere, che non avvi né può esservi alcuno veramente grande numismatico, che non abbia dovuto penetrare addentro negli studj dei valori, e non fossero in conseguenza gli esimi scrittori, che ho nominati, capaci di dare, interpellati, responsi sapientissimi.
Anticamente del resto la dottrina esposta del Conte Carli, e che abbiamo voluto alcun poco parafrasare ai nostri bisogni, è stata conosciuta e praticata or più or meno. L’abbattimento delle monete si nobili che ignobili che n’è cagione, è stato perenne nel mondo, cominciando dall’asse librale romano, che si ridusse, come sanno i medaglisti, sul finire della repubblica ad 1/4 d’oncia da 12 che fu in origine, vale a dire ad una quarantottesima parte, discendendo ai danari quinari e sestersi d’argento, diminuiti gradatamente essi pure. In quanto a noi, di cui cade in acconcio il discorso, abbiamo frammezzo alle violenze ed agli inganni dei tre duchi Visconti, ed alle confusioni del primo Sforza, già diversi decreti, nei quali confessando quei principi tacitamente le loro colpe, stabiliscono il ragguaglio fra le nuove e le antiche monete di pregio maggiore, tuttoché di denominazioni sempre le stesse. Così di Maria Teresa abbiamo giusti e benissimo elaborati regolamenti analoghi, allorché diede fuori nel 1778 il suo sistema monetario, ed a tutti poi sono note e per le mani le tavole di riduzione del governo italiano del 1807 ed austriaco odierno del 1822, nelle quali epoche comparvero monetazioni differenti.
Ho dovuto tacere della Spagna, poiché quantunque gravissime alterazioni si siano date nell’entità della lira da Filippo II (1554) a Carlo III (1711), a segno che vedremo quest’ultima più leggiera di 1/3 dell’altra, nessun editto adattato registrano gli annali mone-