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52 | giovanni mulazzani |
aperta, e d’imprimerle il suggello sacro della legge. Questo avvenimento infausto è dei primi anni del secolo XVII, e noi lo dobbiamo in conseguenza agli spagnuoli. Gli stalli di quel governo erano occupati esclusivamente dai Giureconsulti, li quali sostenevano che la moneta vien dalla legge, e non dalla natura ed insegnavano che il principe poteva fabbricar monete buone, o meno buone ed anche cattive secondo i bisogni dello Stato, e tassarne il valore a suo arbitrio. E così si operava alla cieca; l’oro delle doppie era scadente, l’argento dei filippi e ducatoni superlativo coi loro valori fuori di proporzione, il biglione arbitrario e non corrispondente ai pezzi maggiori, e quasi che tante stravaganze e tanti mali non fossero sufficienti, si imaginò e si diede mano nei primi anni dello stesso secolo XVII precisamente nel 1603, cosa ignota ai secoli precedenti, al rame puro per ottenere più ingordo guadagno con questo vile metallo coniato colle massime dominanti (Argelati Tomo III in fine, tav. XX, pag. 58, annotazioni 34 e seguenti).
Se quei giureconsulti fossero stati veramente degni di questo titolo augusto, avrebbero consigliato ben diversamente il loro monarca, e dal celeste testo di Paolo nella Lett. I, de Emptione et Venditione, e dalla Lett. Aedis prætia, Cod. lib. 10, avrebbero conosciuto i loro gravissimi errori. Così classico ed elegante si è il primo testo che mi piace di qui trascriverlo per intiero:
Origo emendi, vendendique a permutationibus coepit. Olim enim non ita erat nummus, neque aliud merx, aliud praetium vocabatur; sed unusquisque secundum necessitatem temporum, ac rerum utilibus inutilia permutabat, quando plerumque evenit, ut quod alteri superest alteri desit. Sed quia