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studii economici sulle monete di milano 49

sotterrati dall’Argelati (T. III, pag. 49). Continuarono li due re francesi nella riforma, che avevano trovata presso di noi, e per mallevadori ne abbiamo gli esperimenti da me praticati a tutto rigore in zecca, tuttoché ne dissenta alquanto il Le Blanc. Alcun poco decadette l’argento con Carlo V; sul decimo di lega fu però conservato. L’elevato impasto sforzesco ritoma in campo cogli spagnuoli che lungamente ci dominarono dalla metà del secolo XVI alla fine del XVII; i loro ducatoni e filippi coi rispettivi spezzati innumerevoli ascendono a titolo di 0,958 pari alla bontà di den. 11.12 a ragguaglio antico espresso nelle tavole dell’Argelati sopra detto (T. III, pag. 36, tav. V e seg.). Abbassò nuovamente l’argento col sistema monetario di Maria Teresa del 1778; quei scudi e loro metà segnano 0,896 (Tariffa del gov. italiano 1808, pag. 22). Sorpasso le due abortite repubbliche Cisalpina ed Italiana. A 0,900 per la ragione politica già fatta osservare regolate furono le monete del regno d’Italia maggiori dello scudo da Lire 5, fino alle più piccole da soldi 5. L’attuai governo austriaco scostandosi con sua lode dalla vecchia prammatica di Germania del secolo decorso che a 0,833 prescritto aveva i talleri di convenzione (ivi) adottò nel 1822 la miglioranza napoleonica per li nuovi, che comandò in Italia a Milano ed a Venezia, miglioranza che saggiamente estese anche alle zecche tedesche, se non che per un’anomalia, che non ha retta spiegazione, permise poscia e permette tuttavia (e siamo mentre scrivo all’anno 1838) la simultanea fabbricazione a titolo inferiore, laonde insieme corrono scudi buoni e meno buoni.