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292 francesco gnecchi

Non pare ammissibile l’ipotesi che siano prove di zecca. Sarebbero troppo numerose e d’altronde perchè ne sarebbero rimaste di soli pochi imperatori, mentre nessuna ce n’è pervenuta di tutti gli altri, non esclusi quelli che ebbero una monetazione eccezionalmente varia ed estesa? Abbandonata dunque senz’altra discussione questa prima ipotesi, ci rimangono le altre due. Generalmente le monetine in discorso vengono considerate come falsificazioni di monete d’argento, dirò meglio come anime di bronzo di antichi denari falsificati e che hanno perduta l’argentatura, monete sfoderate, defourrées come le chiamano i francesi. Tale opinione che è, come si disse, quella del Cohen e dei suoi successori, ha il suo principale fondamento in ciò che questi piccoli bronzi riproducono esattamente i tipi dell’argento e sembrano anzi un prodotto dei medesimi conii. Ci sono però ragioni che militano nel campo opposto e che, a mio parere, condurrebbero a ritenere queste monete come vere monete di bronzo, quantunque battute coi conii dell’argento; e due principalmente di tali ragioni mi sembrano forti. Prima di tutto non mi è mai occorso di trovare una di queste monete che conservasse ancora in tutto o in parte la superficie d’argento che l’avrebbe dovuta anticamente ricoprire; e nessuna di queste monete ha il tipo delle vere monete suberate, come se ne trovano moltissime dei tempi della republica e un certo numero anche dei tempi dell’impero fino all’epoca degli Antonini. In secondo luogo le impronte dei conii su questi piccoli bronzi sono troppo nette e troppo precise per lasciar supporre che al disopra del bronzo ci fosse una lamina superficie d’argento; e giova considerare che, coi mezzi di cui potevasi allora disporre, l’argentatura si doveva fare di un sensibile spessore, come