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8 | francesco ed ercole gnecchi |
Levante e per l’estero in genere. Così, per esempio, Cesare d’Este Duca di Modena si fece effigiare colla corona e lo scettro sopra due talleri coniati appunto pel Levante. Pare che questi principi adottassero tali emblemi sulle monete destinate al Levante per accrescere colà la loro autorità ed uguagliarsi in certo modo ai legittimi sovrani, che stampavano sulle monete le loro effigie adorne di quel segno di alta sovranità. È probabile che per lo stesso motivo Galeazzo Maria Sforza si sia fregiato dello scettro nelle monete coniate in Scio, mentre evitò sempre di riprodurlo sulle sue monete coniate a Milano, gran parte delle quali portano il suo ritratto.
Nel rovescio di questi grossi vediamo il solito castello colle tre torri e sopra queste l’aquila coronata1. Lo Schlumberger nell’opera citata, parlando delle monete di Scio che portano tale emblema, dice che queste devono essere posteriori alla dominazione di Gal. Maria Sforza, perchè sulle sue due monete conosciute l’aquila non figura. Ora è provato dalla comparsa di questi grossi che tale emblema, risale almeno all’epoca dello Sforza. Il peso di questi sei grossi di Gal. Maria Sforza è di gr. 3,300, e corrisponde perfettamente a quelli de’ suoi grossi battuti a Genova; il titolo pare di eguale bontà e probabilmente furono battuti colla stessa legge, e forse in Genova stessa, come accenneremo più avanti.
- ↑ Nel 1413 l’imperatore Sigismondo accordava a Francesco Giustiniani Campi il privilegio di fregiare il suo stemma dell’aquila imperiale. Pare però che per circa mezzo secolo la Maona non abbia fatto uso di quest’emblema sulle sue monete di Scio.