Pagina:Rivista italiana di numismatica 1888.djvu/266


il ripostiglio di s. zeno in verona città 233

omaggio alle idee svolte dal sullodato Prof. Milani nel suo pregiato lavoro, sull’importanza cioè che dovrebbesi annettere al mantenimento integrale dei ripostigli per il vero valore storico indiscutibile che rappresentano, talché ben a ragione egli li chiama veri codici del tempo, codici originali ed inalterabili.

Ai numismatici ricchi di censo è raccomandabile di entrare nella linea di vedute del chiarissimo Professore Milani perchè potrebbero, se lo volessero, iniziare questo nuovo genere di importanti collezioni per le quali non basta la buona volontà, e che non sono quindi alla portata di tutti, ma riescirebbero certo di grande utilità alla scienza, che deplora la scomparsa di preziose raccolte. Lo riscontriamo anche qui a Milano che appena trenta o quaranta anni addietro vantava contemporaneamente, oltre le celebri collezioni Trivulzio e Verri, tuttora in essere, quelle del Conte Taverna, del Conte Giacomo Bolognini Attendolo e del Rag. Giuseppe Sormani passate poi per legati nel Civico Museo, quelle del Conte Mulazzani, del Nobile Cagnola, della Principessa Belgiojoso Trivulzio1, dei fratelli Vandoni, del Marchese Cusani, del Cav. Giuseppe Gavazzi, del Gerson, del Rag. Consonni, del Franchetti, del Marchese d’Adda, del Cav. Muoni, dell’avvocato Bertolotti, del Conte Durini, del Cav. Morbio, del Cav. Repossi, del Bazzi conduttore dell’albergo del Biscione, del Canonico Codara, ecc. Di tutte queste per la maggior parte insigni raccolte, frutto di pazienti e lunghe ricerche locali, non ci restano oggi che quelle del Nob. Cagnola, del Cav. Gavazzi, del Cav. Muoni e dell’avv. Bertolotti i quali meritano lode per aver costantemente persistito negli studi e nelle ricerche numismatiche e per aver saputo resistere alla corrente delle vendite che da circa un decennio si susseguono non interrottamente.

  1. In questa collezione, ricca di tremissi longobardi, trovavasi pure quello di Desiderio, col flavia mediolano, ora nel Mnseo di Torino, unico che si conoscesse sino all’anno 1886 in cui ne sorti un altro nell’Agro Lodigiano il quale forma ora parte della Collezione Averara di Lodi.