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Due altre parole sull’equitazione di campagna




Fra le molte, e talune anche insperate, attestazioni di consenso alle idee da me svolte nello studio comparso in questa Rivista, ricevute da superiori e colleghi (i quali tutti sentitamente ringrazio), era da prevedersi che non mi sarebbero mancate le crìtiche.

Di queste non mi dolgo, nè mi stupisco ed avrei voluto lasciare soltanto al tempo, che è galantuomo, la cura di confutarle. Ma poichè il capitano Varini, in un suo articolo pubblicato nel fascicolo di Aprile di questo stesso periodico, ha con bel garbo concretato le critiche in due principali appunti, mi sia permesso di chiedere ancora una volta l’ospitalità alla nostra Rivista per brevemente rispondere al mio valente e cortese contraddittore.

Premetto che il suo elaborato ragionamento sopra le andature laterali non riempie nessuna lacuna, nè implica alcun nuovo criterio nell’impartire l’istruzione. Tali andature, come del resto il piego e i diversi atteggiamenti di testa da dare al cavallo, non sono che i corollari di un metodo antiquato al quale mi sono sempre palesato contrario, anche prima che «Scuola vecchia e scuola nuova» vedesse la luce e potesse influire sui miei apprezzamenti. La mia ripugnanza per un tale genere di equitazione era nota abbastanza e non richiedeva che io la illustrassi, soffermandomi ad ogni particolare. Per legge di logica, ammesso errato il principio, sono necessariamente errate tutte le sue conseguenze.