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410 | rivista di cavalleria |
necessaria, per avere cavalli da maneggio che galoppino su di un soldo e facciano tutto ciò che desidera l’istruttore.
Ora, se ciò è piacevole a vedersi e può appagare più facilmente l’amor proprio di un istruttore, non è utile, nè tanto meno pratico, poichè in equitazione fa d’uopo mostrare coll’esempio più che affermare colla parola; ed in campagna non avremo bisogno di cavalieri che ci pratichino la riunione e le andature laterali, ma avremo bisogno invece di cavalieri arditi, intelligenti, capaci di affrontare e superare le difficoltà tutte di una campagna di guerra.
Ora io dico: qual’è l’equitazione che infonde queste doti preclari, quella di maneggio o di campagna? Ed ognuno, per poco che conosca di equitazione risponderà: quella di campagna.
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Ed ora veniamo alla discussione di alcune affermazioni del Caprini, in quanto riguardano l’istruzione delle reclute, affermazioni che a mio avviso guastano la bontà del contenuto del suo scritto.
Egli afferma che dopo 15 giorni di solo maneggio le reclute sono in grado d’intraprendere l’equitazione di campagna.
Lo avere stabilito un limite di tempo così piccolo di permanenza nei maneggi, invece di affermare un principio fondamentale, informatore d’indirizzo nella istruzione, è stato, a mio avviso, un errore.
Errore tanto più appariscente se si consideri che il Caprilli vuole che durante i 15 giorni l’istruttore insegni subito al giovane cavaliere il lavoro individuale.
Ora ciò non è possibile. Pretendere da sì deboli cavalieri, la maggior parte dei quali vengono sotto le armi privi d’ogni dimestichezza col cavallo, un tale sforzo, non è pratico, nè ragionevole.
Il maggior nostro contingente in cavalleria è rappresentato dal contadino, e noi sappiamo benissimo quanta fatica costi ai comandanti di squadrone ed agli istruttori per renderlo sciolto