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il nuovo i tomo del regolamento d’esercizi 507


I miei avversari questo principio lo ammettono ma non ne sono ben convinti, forse per non averlo mai completamente esperimentato; altrimenti non si accorderebbero nello scagionare il regolamento dal non aver detto come il soldato deve fare per assecondare e non disturbare il cavallo. Sancire un principio fondamentale, l’unico, badate bene, l’unico veramente importante, e non voler dire in due parole il solo modo di attuarlo, è indizio di non ferma convinzione.

Non è con lo stare inchiodato e fermo in sella che non si disturba il cavallo; è col cedere, avanzando i pugni, ogni qualvolta il cavallo abbia di ciò bisogno per cambiare equilibrio.

Su questo io insisto e credo che il regolamento non insisterà mai abbastanza. Mi pare d’aver detto nel mio precedente articolo che è utile insegnarlo nel salto, non tanto per il salto in sè, quanto perchè l’esercizio del salto fatto in questo modo abilita il soldato ad assecondare il cavallo con tutta facilità in qualunque altro spostamento di equilibrio, cominciando dalla partenza al passo, ed è l’unica strada e la più sicura, se l’istruttore sa il fatto suo, per insegnare al cavaliere ad attuare in ogni altro caso il principio ammesso dal regolamento.

E questo movimento di cedere è ben lungi dall’essere difficile, tanto è vero che tutti i soldati ai quali l’ho insegnato l’hanno tutti bene appreso, ed ha altresì il vantaggio di non impedire al cavallo di vedere dove mette i piedi, o di obbligarlo a tirare fuori di sella con la bocca il cavaliere che non cede.

In ultima analisi è quel movimento che ben appreso in qualunque circostanza fa artificialmente la così detta mano buona. Questo io dico e sostengo poichè è spesse volte, lo ripeto, il cavallo che tira sul collo il cavaliere che non cede, e non questi che va con le mani avanti, come vorrebbe far credere uno dei miei contraddittori.

Del resto che il cedere, cioè il non recar dolore al cavallo, sia indispensabile, lo si rileva pure dalle parole di uno di essi quando asserisce che «reggimenti lanciati a distesa andarono al di là di ostacoli difficili quando essi erano inaspettati da non dar tempo a frenare l’andatura, mentre invece ostacoli di poco conto, preveduti, ostacolarono davvero le truppe.»

Questa affermazione conforta la mia tesi. Il cavallo quando non si aspetta e non vede l’ostacolo va perchè non aspetta, non teme e non vede l’imminente dolore: si rifiuta quando ha tempo di vedere. Ora di qui non si esce, o impedire al cavallo di vedere (e ciò non consiglio a nessuno), o evitare il dolore, il che vuol dire cedere a tempo: ceduta che, ripeto, è facile e che, dando modo di non contrariare il cavallo, fa sì che prima e dopo l’ostacolo esso sia arrendevole e docile alla mano.

Ma non è di saltare o superare grossi ostacoli nè piccoli ch’io mi interesso, spieghiamoci bene: il soldato deve apprendere ad attuare il principio. Una volta che l’abbia appreso saprà servirsi del cavallo in qualunque modo: potrà passare dappertutto ed anche, se volete, saltare!!!