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Caccia alla volpe nella campagna romana


La rivoluzione francese prima e le guerre napoleoniche poi portarono radicali modificazioni nelle costumanze di tutti i paesi. Quelle relative all’equitazione si modellarono in Italia sull’imitazione degli inglesi, i quali, usciti senza gravi iatture da quel periodo di crisi, scesero in gran numero a svernare al nostro sole e a godersi i nostri tesori di storia e di arte. Larghi delle loro ricchezze, riuscirono facilmente ad attirarsi la simpatia della popolazione, e a generare nella nostra aristocrazia il desiderio d’imitarli, specialmente nel modo di vestire, e nelle consuetudini, diremo così, sportive, nelle quali loro erano maestri. Da qui l’importazione dei loro cavalli, delle loro carrozze, e l’abbandono delle antiche livree, cariche di galloni e dorature.

Ed è appunto agli inglesi, e precisamente a lord Chesterfield, che dobbiamo l’introduzione nei nostri costumi della caccia alla volpe e, in seguito, delle corse con ostacoli. Il metodo di equitazione, nuovo per noi, ma già praticato da molto tempo in Inghilterra, venne utilizzato a Roma più che nelle altre città d’Italia, perchè la campagna che la circonda non offriva comodi viali agli amatori dell’equilazione per puro passatempo, come ne offrivano le Cascine di Firenze o la Villa Reale di Napoli.

Allora, come adesso, a chi avesse voluto galoppare in aperta campagna, erano necessarii cavalli di fondo e di sangue, sia per le rilevanti distanze da percorrere, sia per le molte accidentalità del terreno da superare.

A Roma pertanto arrivavano ottimi cavalli di mezzo sangue e ne partivano invece quelli ammaestrati alle appoggiate ed al passo spagnuolo.

Così fu che, nell’anno 1844, un numero ristretto di signori, inglesi e romani, che facevano capo presso lord Chestertfield e presso il prin-