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356 | rivista di scienza |
sdraiarono ai piedi di quella che doveva essere la loro preda e si sottomisero ad un digiuno santo, senza menomamente fare alcun male alla vergine con gli acuti artigli e senza nemmeno atterrirla con lo sguardo. La verginità è come un fiore di primavera dolcemente esalante l’immortalità dai suoi petali candidi. Il Signore stesso apre il regno dei cieli agli eunuchi. Se Adamo avesse osservato obbedienza al Creatore, sarebbe vissuto per sempre in uno stato di vergine purezza, e solo una vegetazione di piante ed erbe non nocive avrebbe abbellito un paradiso unicamente popolato da esseri innocenti ed immortali. Vero è però che, quantunque la verginità sia la via più breve per giungere a Dio, anche la via del matrimonio vi conduce, sebbene per più lungo giro. Tertulliano stesso combattè i Marcioniti che proibivano il matrimonio nella loro tribù, e costringevano coloro che già fossero ammogliati a separarsi prima di essere ricevuti col battesimo nella comunità. E nella prima metà del quarto secolo il Concilio di Gangra condannò esplicitamente l’opinione che il matrimonio impedisse ad un buon cristiano di meritare il regno dei Cieli. Ma alla fine dello stesso secolo un altro Concilio scomunicò il monaco Gioviniano perchè negava che la verginità fosse più meritoria del matrimonio. Esso era invero permesso all’uomo soltanto come un espediente necessario alla conservazione della specie umana, e come un freno, quantunque imperfetto, alla naturale licenziosità del desiderio. La procreazione dà la misura dell’abbandono del cristiano al dominio del senso; similmente l’agricoltore che getta la semente sulla terra, attende il raccolto, senza più seminare su di essa.
Queste opinioni condussero gradualmente al celibato obbligatorio del clero regolare e secolare. La convinzione che un secondo matrimonio di un prete, oppure il matrimonio di un prete con una vedova fossero illegali, pare sia esistita fin dai primordi della Chiesa: e fin dal principio del quarto secolo un Sinodo tenuto ad Elvira, in Ispagna, insistette sulla necessità di un’assoluta continenza da parte degli ecclesiastici di più alto grado. Ma il celibato poi del clero come norma generale fu prescritto da Gregorio VII il quale «vedeva con orrore contaminato dai rapporti sessuali il santo carattere dei sacerdoti, avessero questi anche appartenuto agli infimi gradi della gerarchia». Ma in molti paesi a questa prescrizione si