Pagina:Rivista di Scienza - Vol. I.djvu/98

88 rivista di scienza

richiamar sempre più l’attenzione sulla variabilità e sulle così dette «forme intermedie», o di transizione che, per ipotesi, dovevano esistere o essere esistite un tempo fra i varii gruppi sistematici, condurre necessariamente a rendere sempre meno precisi i limiti di essi gruppi, contrapponendosi alla scuola linneana che, fedele al dogma della fissità della specie, trascurando le varietà e le forme intermedie, era andata sempre più circoscrivendoli, col moltiplicare, per necessità di cose, il numero dei gruppi stessi.

Como suole accadere, l’esagerazione di coloro che negavano la fissità della specie non fu minore di quella dei sostenitori di essa. Gli uni e gli altri incorsero nello stesso errore di forzare la mano ai fatti costringendoli a dire ciò ch’era già prescritto dai canoni delle loro dottrine. Come i linneani creavano specie e stabilivano separazioni del tutto arbitrarie e artificiali, così i trasformisti le distruggevano, correndo troppo a vedere forme di passaggio e anelli di congiunzione, che facevano comodo alle loro genealogie. Molti degli alberi genealogici così costruiti non furono meno artificiali di molte specie della scuola linneana. Ma l’indirizzo nuovo ebbe, fra le altre cose, questo di buono, che esso diede un grande e fecondo impulso allo studio della variabilità e ammannì così un ricco materiale per le ulteriori ricerche.

Le dottrine trasformistiche ebbero fin dal loro inizio due diverse tendenze, che s’impersonarono rispettivamente nel Lamarck e nel Darwin.

Il Lamarck ammise come cause della trasformazione le influenze esterne di clima, di nutrizione ecc., quali determinanti di adattamenti diversi che conducevano a modificazioni dell’organizzazione, e l’uso e il non uso degli organi; implicando la trasmissibilità ereditaria dei caratteri acquisiti.

Il Darwin, partendo, com’è ben noto, dalle modificazioni che si ottengono per mezzo della selezione artificiale nelle piante coltivate e negli animali domestici, cercò di dimostrare che in natura esiste un processo analogo, cui egli diede il nome di selezione, o cernita naturale, conseguenza della concorrenza vitale e causa principalissima delle trasformazioni delle specie, e della conservazione delle variazioni più utili, le quali si accumulerebbero attraverso una serie di generazioni quando le condizioni di vita rimanessero immutate.