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tale della radioattività: l’emissione di particelle α con velocità enormi.

A parte tutte le conseguenze dedotte dal Rutherford sulla base delle sue misure, un fatto d’importanza capitale viene assodato in virtù di queste ricerche, le quali segneranno indubbiamente un’epoca nella storia della radioattività: le particelle α emesse dalle più diverte sostanze radioattive sono identiche, e per esse il rapporto ha un valore metà di quello proprio dell’atomo di idrogeno.

Questo risultato apparisce ancora di più profondo significato se lo si mette a riscontro con la scoperta fatta in questi ultimi giorni dal prof. J. J. Thomson di Cambridge, e della quale io mi occuperò nel prossimo numero della Rivista, che cioè sotto l’azione di campi elettrici molto intensi, differenti gas contenuti nei tubi a scarica e a pressioni bassissime emettono particelle caricate positivamente, e che sono le stesse qualunque sia la natura del gas da cui esse hanno origine. Queste particelle sono di due specie: per una di esse ha il valore 104, cioè quello proprio di un atomo d’idrogeno; per l’altra ha un valore metà, cioè lo stesso valore ottenuto dal Rutherford per le particelle α delle sostanze radioattive.

Di fronte a risultati così impreveduti, e ai quali resteranno associati i nomi dei due colossi della Scienza contemporanea, vien fatto di chiedersi: Siamo già alla scoperta dell’elettrone positivo? La domanda è audace, ma non inutile e certo degna di esame come risulterà dalle considerazioni che seguono.

L’impossibilità di rivelare in alcun modo l’esistenza dell’elettrone positivo aveva determinato i fisici negli ultimi anni a spiegare i fenomeni noti con la semplice nozione dell’elettrone negativo. Questa infatti è sufficiente, o fu creduta tale, per la spiegazione della emissione della luce da parte dei gas incandescenti, poiché il fenomeno Zeeman e gli altri fenomeni magneto-ottici che ne derivano, assegnano ai centri dell’emissione luminosa qualitativamente e quantitativamente le caratteristiche dell’elettrone. Ma già alcuni recenti fenomeni magneto-ottici scoperti da J. Becquerel rivelano una specie di fenomeno di Zeeman invertito, e reclamano quindi l’intervento di elettroni carichi positivamente. Quanto alla teoria elettronica dei metalli, il Drude ammise sin da principio l’esistenza di entrambe le specie di elettroni: essa sembrò indispensabile, sopratutto, per la spiegazione di tutte le particolarità rivelate dalle esperienze sull’effetto Hall e su altri