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L’Economia è quindi la scienza nella quale, forse più che in qualsiasi altra, il detto famoso «Conosci te stesso» acquista la sua massima importanza.

Tale studio dei propri motivi non è menomamente deduttivo e neppure astratto. Esso deve anzi procedere per paragoni ed analisi, e ci procura d’altra parte una conoscenza di essi motivi ben più intima e degna di fiducia che non sia quella ottenuta attraverso l’imperfezione dei sensi. Vale a dire, è possibile di arrivare a conoscere i propri sentimenti ed i propri motivi anche meglio che non le proprietà della materia, intorno alla quale, veramente, non si possono fare che supposizioni ed ipotesi.

La necessità d’una proposizione aprioristica si avvera solamente quando ci si accinge ad interpretare le azioni altrui al lume della propria esperienza. Bisogna allora assumere che gli altri agiscano spinti da motivi simili a quelli che governano noi stessi. Ma gli studiosi di storia e di statistica non soggiacciono meno dell’economista teorico a tale necessità.

Non si sostiene, qui, che la teoria economica debba essere largamente psicologica. Ma si vuol dire che i fattori psicologici rappresentano una parte molto importante nella nostra attività economica e che, quindi, non debbono essere trascurati. Sarebbe, per esempio, assurdo il voler analizzare i processi del cambio senza aver studiato il processo della valutazione; eppure la valutazione è un processo del tutto psicologico. La scuola austriaca, studiando il valore, segue semplicemente il metodo analitico della scuola classica inglese. C’è, invero, ancora campo per analisi nuove e più minuziose di quelle fatte da questa scuola, e tali analisi, si può fiduciosamente sperarle, correggeranno gli errori in cui essa è incorsa.

Come si è già detto, è un errore qualificare come astratto e deduttivo lo studio delle proprie esperienze soggettive, e quelle ipotesi che la scuola inglese e i suoi seguaci sono stati costretti a fare, non sono meno necessarie negli studi storici e statistici; si sbaglia, quindi, chiamando deduttivo il loro metodo. La vera differenza fra l’economista teoretico da una parte e lo statista e lo storico dall’altra, sta nelle fonti alle quali essi attingono le loro informazioni. Ammettendo che tutti e tre cerchino di lumeggiare questioni d’economia politica, l’economista studierà la vita contemporanea come cade sotto la sua osservazione diretta, interpretandola in base all’espe-

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