Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
944 | il passo |
l’Argenti s’era invecchiato di dieci anni. Pallido, cogli occhi infossati,
egli ebbe un grido di dolore dinanzi alla vereconda esitanza
dell’amata, e non resistendo all’angoscioso trasporto, la
baciò come un disperato, la strinse follemente al suo petto con
una passione che l’ostacolo infiammava fino al delirio.
Ella si sciolse con dolce insistenza dalle sue braccia, lo condusse verso quel focolare ove avevano passato insieme tante ore di tranquilla felicità e gli domandò con un atto solenne, che nello strazio dell’imminente sacrifizio conferiva una certa grandezza all’umile sua anima:
— Gilio..., se in questi quattro anni di vita beata io t’ho dato qualche dispiacere, me lo perdoni?
— Non sono io che devo perdonare... tu, tu sola Giovanna.
— Io non avrò che delle memorie benedette. Null’altro. Ora tutto è finito.
— Vi sarebbe ancora uno scampo, se tu volessi! Possiamo fuggire insieme! — esclamò il giovane nella sua desolazione, avvicinandosi di nuovo a lei.
— No, questo no — disse Gioconda, senza la più lieve esitanza.
— Dunque è proprio tutto finito!...
E si guardarono profondamente negli occhi con una follia di dolore.
— E le creature, le creature!
— Ci penserò Giovanna, non temere...
— Parlerai loro qualche volta di me? dirai che la mamma è morta eh? ch’è morta?
Il giovane ruppe in un singhiozzo e scosse la testa con ribrezzo.
— Io andrò molto lontano di qui — mormorò — me lo consiglia anche il curato; andrò in un luogo ove potrò parlar loro di te, senza pericolo... quanto me lo dice il cuore.
— In America? — domandò ella piano, soffocata.
— Non lo so.
— Ti sposerai Gilio? — domandò ella, ancor più piano collo sguardo spento.
— Mai. Te lo giuro.
E l’Argenti stese la mano verso un lembo di cielo che s’intravvedeva fra le nubi gravi di neve.