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938 il passo


mino che aveva ripreso, sedendo su un vecchio tronco perchè le mancava il respiro.

— Ti rincresce? ti rincresce molto? ... domandò il giovane.

Ella abbassò la testa, senza rispondere.

— Vi sarebbe un rimedio, Giovanna, se tu volessi!...; ma quando mi guarderai in faccia, dimmi?...

— Non posso — mormorò ella colla timidezza d’una fanciulla.

— Nemmeno quando sarai mia? perchè tu devi esser mia Giovanna... io ti ho sempre voluto bene anche quando ero lontano... non ho mai cessato di pensare a te...

— Oh Gilio, Gilio! perchè non l’hai detto prima? ...

— Allora era un povero ragazzo, non potevo offrirti che una vita di stenti. Le cose si sono mutate.

— Mio Dio! e le creature?

— Amerò anche le creature come fossero mie!

E il giovane la baciò pazzamente sui capelli bruni, sugli occhi umidi di pianto.

Una gioia quasi angosciosa agitava il cuore di Giovanna. Ella chinò la testa sul petto del suo compagno d’infanzia, mormorando la sua prima promessa d’amore.

*

*  *

Quattro anni erano trascorsi. La pace regnava insieme all’agiatezza sulla piccola casa. Nella stalla ruminavano i buoi e le mucche dal pelame lucente; il fienile era colmo e gli arnesi pastorizi allineati simmetricamente sotto una tettoia, attendevano il ritorno della primavera.

I figli di Maurizio s’erano fatti grandicelli e Giovanna aveva dato a Gilio due belle bambine. Egli amava gli uni e le altre senza distinzione, egli amava la moglie come il primo giorno, era buono, onesto, laborioso.

In quella sera fredda e triste di novembre dalla casuccia non traspariva lume. Essa era avvolta nell’ombra e nel silenzio profondo della felicità. Gilio, stanco dal lavoro assiduo della giornata aveva voluto coricarsi presto, e Giovanna si era assopita nel grande letto nuziale con una mano sulla spalla del suo compagno. Da più ore dormivano così entrambi d’un sonno tranquillo e intenso. Un debole raggio di luce, penetrando da una fessura