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il passo | 937 |
aveva commesse, e passando dalla pineta s’era seduta presso una piccola sorgente per cercare un po’ di riposo nella frescura e nell’ombra. Voleva godere, con un sorso d’acqua diaccia, il suo umile desinare di polenta fredda e di cacio nuovo, ma il cibo frugale, di solito così attraente al suo palato da gran tempo ignaro d’ogni ricercato sapore, non l’allettava. Era abbattuta e triste e tutto lo sconforto delle trascorse sventure riassaliva la sua anima solitaria con un senso di desolato abbandono.
Ad un tratto ella sussultò e un vivo turbamento la prese. Gilio, che non aveva più riveduto, veniva di lontano verso di lei.
— Finalmente ti trovo! — disse il giovine affrettandosi a raggiungerla — non ho mai osato venire a casa tua, ma ti ho tanto cercata e aspettavo con impazienza questo momento! — Poi, visto ch’ella si commoveva, soggiunse con una certa franchezza rude: — Fatti animo Giovanna! lo sapevi già che anche se avesse vissuto, da quel pover’uomo non vera più nulla da attendersi! ...
— Non ha mai voluto bene nè a me, nè alle sue creature, — disse ella gravemente, trovando conforto in questa confessione che per la prima volta le sfuggiva dalle labbra.
— Hanno assegnato un tutore ai tuoi figlioli?
— Sì, mio cognato. Ma vi è ben poco da pensare. Non hanno più nulla! fra breve dovrò vendere anche la mia casa e andarmene raminga.
— Se vuoi cederla, Giovanna, io conosco un compratore.
La giovane si fece di fiamma. Non avrebbe voluto che l’occasione propizia si presentasse così presto.
— Ah! non posso pensarvi — balbettò — e poi... per pochi quattrini non la vendo...
— Domanda tutto quello che vuoi.
— È dunque una persona a cui sta proprio a cuore d’averla?
— Proprio a cuore. Anzi ti raccomando di non concludere nulla senz’aver prima parlato con me.
Ella tacque un minuto. Adesso il suo volto si scolorava.
— Dunque... dunque sei tu stesso? — chiese poi con una certa ansietà.
— Sì, sono io — disse Gilio.
— Va bene. Tratteremo — mormorò ella, fermandosi nel cam-