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il passo 927


Il giovinetto esile e sparuto dei suoi sogni d’’adolescente si era fatto un bell’uomo. Giovanna non l’aveva più riveduto da vicino dopo il suo ritorno e quell’incontro in un giorno per lei così memorabile, era troppo strano perchè la tortura dell’inassopito ricordo non la mordesse nel cuore, più viva che mai. Ella rispose con grande riserbo al suo saluto cortese, alla sua stretta di mano poco conforme alle usanze del luogo, e ripigliò senz’altro il cammino, ma l’Argenti ch’era semplice e disinvolto le sì mise subito al fianco con la confidenza dei primi anni.

— Hai accompagnato tuo marito alla stazione, eh?... dove andava? — chiese egli, dandole del tu come una volta.

— Non lo so di sicuro. Mi ha sempre parlato d’una grande città, molto lontana...

— Sarà dunque una lunga assenza...

— Vedremo... — mormorò Giovanna renitente ad effondersi.

— E tu ne sei afflitta!... non è dunque vero che il Ciuffo ti trattava così male?

— Oh, questo poi!... — esclamò ella, arrossendo.

— Scusa. Non ti volevo offendere. Me l’avevano scritto quand’era a San Francisco e me ne rincresceva per te. Tanto meglio così. Se ti posso essere utile in qualche cosa, con l’opera o col consiglio, non hai che a parlare e mi troverai sempre pronto. Siamo stati sempre buoni amici, Giovanna!

— Grazie. Per i bambini vi è mio cognato. In quanto a me m’affido interamente alla Provvidenza — rispose la giovane con fierezza.

E dopo ch’ebbero camminato alcuni minuti uno accanto all’altro in silenzio, l’Argenti, vedendo di non essere bene accetto, la lasciò.

— Addio, dunque, Giovanna!...

— Addio Gilio, buona fortuna!...

E mentre il giovane si dileguava nel bosco, ella affrettò il passo. Era molto turbata e impaziente di rivedere i suoi figliuoli, di raggiungere la sua casetta, un cubo di pietre senza intonaco, traforato da otto piccole finestre e da due porticine, che sorgeva nella piazza del paese, in mezzo all’orto già spoglio d’ogni vegetazione.

Ivi ella chiuse la sua ardente giovinezza, studiandosi di sof-