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926 il passo


Ora, ella risaliva sola al suo paese, verso la pace e anche verso la miseria, ma aveva le mani abili, una volontà di madre sviscerata per lottare contro le avversità della sorte e una fede sicura nel divino aiuto. Soltanto si doleva di non poter provare nell’anima un rimpianto più sincero per la partenza del suo compagno, di sentirsi così rassegnata alla nuova vita e all’isolamento a cui doveva votarsi ormai la sua giovinezza infelice.

Aveva già camminato due ore, le nebbie si diradavano sul l’orizzonte di zaffiro e una grande allegrezza di sole s’era diffusa nelle deserte campagne.

Giovanna passò da un altro borgo e sotto le volte massiccie d’una fortezza austriaca, e una larga valle tutta viva di casolari e di paesucci sparsi le si aperse dinanzi; varcò, sull’arditissimo ponte, il torrente selvaggio che la taglia nel mezzo con una spaccatura paurosa e profonda della roccia e non smise di salire, sorridendo, con atto involontario, al paesaggio amico. Come tutta la gente montanina, ella amava, d’una tenerezza appassionata, le linee e i colori della terra nativa, che quel giorno le apparivano ancor più belli dinanzi alla visione ripugnante della grande città straniera che attendeva Maurizio nell’ignoto del destino.

Quelle linee e quei colori si facevano sempre più alpestri: alla gloria dei tralci di porpora morente nei vigneti scomposti dalla vendemmia, succedeva il verde tranquillo dei prati, al giallo sfacciato delle foglie caduche sui colli vestiti di boschi cedui la nerezza immutabile delle abetine che si stendono come lunghe fascie sui fianchi delle montagne.

Qua e là sorgevano sopra i villaggi, dall’ombra cupa delle conifere secolari, i castelli eleganti dei signorotti medioevali o le loro fiere rovine; una torre romana, mezza sfasciata dominava ancora dall’alto la via antica e le dolomiti eccelse della terra irredenta parevano sfidare, con le loro cime capricciose, aguzze come freccie o bianche di nevi eterne, l’impenetrabile mistero del cielo.

Giovanna s’era inoltrata in un fitto bosco di pini, aveva fatto una breve sosta presso una rozza croce di pietra perduta fra gli alberi, ma un rumore di passi subito la distolse dalla preghiera Era Vigilio Argenti soprannominato il Messicano per il suo lungo e fortunato soggiorno nell’America settentrionale, era il compagno d’infanzia ch’ella aveva amato in segreto e senza speranza.