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Egli raccolse da terra una viola che si era staccata dal mazzo — la baciò più volte con enfasi esagerata — se la pose sul cuore — e fuggi dalla sala piangendo...

All’indomani, riportando quell’episodio, uno dei nostri giornalisti crostacei esclamava con sussiego: che pagliaccio!

Vedete come le mummie sentenziano!

Temperiamo i nostri entusiasmi; mettiamo un freno alle espansioni del cuore...

In caso contrario, passeremo per buffoni.

Nell’anno 1850, Alessandro Dumas versava in una insolita crisi di strettezze finanziarie. I creditori (gentaccia, in ogni paese) lo vessavano siffattamente ch’egli aveva dovuto emigrare dalla Francia per guarentire la propria indipendenza personale sovra il territorio neutro di Bruxelles.

Contuttociò, profittando delle indulgenze del Codice, alla domenica l’illustre romanziere veniva a passare in Parigi le sue ventiquattro ore.

Una mattina, ebbi la buona ventura di vederlo entrare in un piccolo caffè nel quartiere di Breda, dove io stava facendo la mia colazione al prezzo di settantacinque centesimi.

Un giovanotto dal soprabito artisticamente sdruscito si